L’aeromodellismo

di Gabriele Tacchi

Cercare di spiegare in poche righe cosa sia l’aeromodellismo radio comandato è davvero un’impresa ardua. Il motivo è molto semplice: quasi ogni tipo di aereo, quasi ogni tipo di propulsore esistente nel campo dell’aeronautica “vera” esiste anche, più o meno diffusamente, riprodotto in scala.
Non si pensi che questa affermazione sia esagerata, e non si pensi neppure che le virgolette usate per distinguere l’aeronautica “vera” da quella in miniatura siano fuori posto. Gli aeromodelli sono infatti aerei veri, che differiscono dagli altri per dimensione, anche se ormai si sono raggiunte ragguardevoli aperture alari, e soprattutto per il fatto che sono pilotati da terra. Ma allora, dove sta il confine tra aeronautica e modellismo, visto che ormai sono di larghissima diffusione in campo militare e civile ricognitori e aerei armati radioguidati? Sono aeromodelli questi, o aerei veri quelli che solcano la domenica i cieli dei campi volo degli appassionati? La mia opinione è che al giorno d’oggi possiamo radunare tutto quanto nella vasta categoria dell’aeronautica, senza ulteriori distinzioni. Vedere la reazione di un ufficiale pilota dell’aeronautica militare davanti ad un Tornado in scala, con ali a geometria variabile e spinto da un turbogetto capace di girare a 120000 giri al minuto, alimentato a cherosene, che consente di far viaggiare il modello a oltre 300 km all’ora, è solo una delle tante dimostrazioni della veridicità di quanto ho appena affermato.

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Anche senza spingersi verso l’aeromodellismo ancora elitario, semplicemente a causa dell’alto costo di certi materiali, delle riproduzioni dei caccia a turbogetto, è possibile, frequentando un gruppo modellistico, vedere riprodotto nel piccolo tutto ciò che si trova in scala reale, e anche di più! Un esempio: i propulsori degli aeromodelli, sino a una trentina di anni fa, erano quasi esclusivamente motori due tempi, potenti, regolari nel funzionamento, semplici da mettere a punto, leggeri, ma poco realistici dal punto di vista del rumore. Ora i motori quattro tempi la fanno da padrone installati su tutto ciò che si vuole diventi di un livello appena al di sopra della media dei modelli “della domenica”, salvo naturalmente le eccezioni dei motori da competizione o di particolari installazioni. Quando dico motori quattro tempi intendo veri motori con valvole, punterie, pompe del carburante e persino in alcuni casi compressori volumetrici, monocilindri, bicilindrici, quadricilindrici, in linea, boxer, a V, stellari con un numero di cilindri variabile da tre a undici; per non parlare poi dei motori a pistone rotante a ciclo Wankel.

Per quanto riguarda gli aerei il discorso è paritetico. Avete mai visto volare un Discus o un Blanick in scala uno a uno? Sono due alianti dalle spiccate qualità libratorie ed acrobatiche. Bene, vi assicuro che un Discus radiocomandato di 4 o 5 metri di ala non ha niente di diverso da quello grande; ha anch’esso flap, aerofreni, profilo variabile e tutto ciò che è installato su quello vero. Il volo? Identico. Del resto nelle gallerie del vento delle industrie aeronautiche viene inserito un modello per la valutazione delle caratteristiche prima di costruire il prototipo. Il passo successivo è il modello volante in scala. Volete vedere in volo un P38 della II guerra Mondiale ? Andate da Angelo Montagna e chiedetegli di far prendere un po’ d’aria alla sua riproduzione in scala, vi assicuro che vederlo decollare, retrarre i carrelli e passare sulle vostre teste a tutta velocità, vi farà provare l’emozione di trovarvi a tu per tu di quello vero.

Stesso discorso per le riproduzioni di aerei passeggeri, da trasporto, da velocità, idrovolanti, jet, da record. Insomma, per vedere qualcosa di realistico ma in scala ridotta non avete che da contattare il modellista giusto, e lasciarvi imbambolare dalle sue inarrestabili chiacchierate sulla sua passione che gli dà l’energia per affrontare una moglie o una fidanzata inviperita per aver passato una domenica ad aspettare quel pazzo emulatore di Icaro del suo uomo, che a volte torna a casa stanco, bruciato dal sole ma felice, a volte scornato e con l’automobile piena di rottami di un aeromodello che di colpo si è ricordato dell’esistenza della forza di gravità.

Gabriele Tacchi, 1998

La gita a Vigna di Valle

di Lorenzo Anelli

Sono sul FRECCIA ROSSA diretto a Salerno per un viaggio di semi diletto con mia moglie e, la mia mente viaggia alla velocità del treno (300 km orari, presumo). Sono tranquillo. Non so che fare. Ho quattro ore da perdere. Colgo l’occasione. Scrivo questo articolo per soddisfare una promessa data.
Penso ai molti viaggi che in passato ho fatto. Avventure in moto, auto, treno e aereo, non nego, sorrido un po’, pensando al piacevole viaggio/gita con il gruppo di cui faccio parte il GMB (GRUPPO MODELLISTICO BELGIOIOSO).

L’ organizzazione impeccabile di Gabriele accompagnato dal suo mitico papà , il servizio di Roberto taxi da Pavia all’ aereo porto a/r , le due insostituibili enciclopedie del volo tascabili da viaggio Angelo e Jacky ( ma quante ne sanno!) , un “grande” del volo acrobatico, Marco, con il suo papà! Il nostro tesoriere Giuseppe, Riccardo ed io componiamo la banda.
Ho aderito molto volentieri alla iniziativa del GMB in occasione del festeggiamento dei trent’anni dalla nascita, che ci ha portato in gita a Vigna di Valle in visita al museo storico dell’areonautica, Riccardo ed io abbiamo potuto provare l’esperienza del primo volo di linea. Data prevista di partenza 27 Ottobre 2013, rientro il giorno dopo. Molto tempo prima viene organizzato il tutto. Arriviamo a Roma con un’ora di ritardo, forte vento a Fiumicino la causa, il comandante durante l’attesa a Linate ci permette di visionare la cabina di pilotaggio, mitica!

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All’aereoporto romano ritiriamo l’auto a noleggio, impeccabile, molti punti feedback . Raggiungiamo il museo. Splendido.
“L’Idroscalo di Vigna di Valle è il più antico museo del volo in Italia, sito sulla sponda sud del lago di Bracciano dove, nel 1904 per volontà del Maggiore del Genio Mario Maurizio Moris, padre riconosciuto dell’aviazione italiana, fu impiantato il primo Cantiere Sperimentale Aeronautico. Qui volò nel 1908 il primo dirigibile militare italiano, l’N.1, opera degli ingegneri Gaetano Arturo Crocco e Ottavio Ricaldoni. Fanno da cornice al Museo, voluto e realizzato dalla Forza Armata per dare degna collocazione al patrimonio aeronautico italiano, le strutture e le costruzioni dell’idroscalo, oggi unico sito di questo genere in Italia a mantenere intatte le caratteristiche architettoniche tipiche di un insediamento aeronautico sviluppatosi in un arco temporale che va dall’origine fino agli anni ‘60 del secolo scorso.” Si legge nella pagina del sito.
Si parano davanti a noi modelli di aerei di ogni genere.

“Il Museo Storico dell’Aeronautica Militare, con i suoi 13.000 m2 di superficie espositiva coperta, è uno dei più grandi ed interessanti musei del volo esistenti al mondo. Disposto su quattro grandi padiglioni espositivi, il Museo accoglie al suo interno oltre 60 velivoli ed una cospicua , collezione di motori e cimeli aeronautici di vario genere che raccontano, in sequenza cronologica, la storia del volo militare in Italia e quella degli uomini che ne furono protagonisti. Il percorso si snoda attraverso i settori dedicati ai Pionieri, ai Dirigibili, alla Prima Guerra Mondiale (hangar Troster, inizio visita), all’epopea dei Voli Polari del Generale nobile,hangar Troster, alle Grandi Crociere di Massa, alla Coppa Schneider, ai velivoli tra le due guerre (hangar Velo), alla Seconda Guerra Mondiale e i grandi aeroplani (hangar Badoni ) per terminare con l’ultimo padiglione illustrante la rinascita post bellica dell’Aeronautica Militare Italiana, che comprende i velivoli a getto contemporanei (hangar Skema e l’appendice (hangar aggiuntiva dedicata ai velivoli Fiat G.91).”

Tra queste beltà ci si perde, chi fotografa, chi osserva motori, chi riconosce un cane (la Titina, di Nobile), chi tra di noi si perde tra le frecce tricolori. C’è anche la riproduzione dello SVA realizzata da Nicolò Saettone, e donata al museo dalla famiglia dopo la sua scomparsa. Arriva l’ora di pranzo, si va nella mensa della caserma, il rancio è ottimo e abbondante. Il pomeriggio trascorre veloce tra un aneddoto e l’altro. Arriva l’ora di chiusura. Peccato.

Auto e via verso l’albergo, costeggiando il lago si arriva. Accogliente generoso e …….. occupiamo le stanze, pulite e comode. Molti punti feedback. Si organizza la cena. Spettacolo, meravigliosa opportunità gastronomica da molti colta al volo. Bucatini all’amatriciana. Abbondante tripudio di sapori, colori e profumo. Qualcuno si ferma altri pensano alla pietanza e poi? Vuoi non mangiare il dolce? Preso. Abbondante cena. Giusto il prezzo. Vino buono locale suggestivo cordialità ottimo pasto il commento su Trip Advisor. Caffè ammazza caffè giro sul lungo lago notte.

La mattina colazione molto abbondante. Le alternative turistiche erano molte, ritengo ben centrata la meta alla necropoli Etrusca di Cerveteri. La necropoli etrusca della Banditaccia è posta su un’altura tufacea a nord-ovest di Cerveteri (RM), e nei suoi circa 400 ettari di estensione si trovano molte migliaia di sepolture (la parte recintata e visitabile rappresenta soli 10 ettari di estensione e conta circa 400 tumuli), dalle più antiche del periodo villanoviano (IX secolo a.C.) alle più “recenti” del periodo etrusco (III secolo a.C.). La sua origine va ricercata in un nucleo di tombe villanoviane nella località Cava della Pozzolana, ed il nome “Banditaccia” deriva dal fatto che dalla fine dell’Ottocento la zona viene “bandita”, cioè affittata tramite bando, dai proprietari terrieri di Cerveteri a favore della popolazione locale. Vista la sua imponenza, la Necropoli della Banditaccia è la necropoli antica più estesa di tutta l’area mediterranea.

Le sepolture più antiche sono villanoviane (dal IX secolo a.C. all’VIII secolo a.C.), e sono caratterizzate dalla forma a pozzetto, dove venivano custodite le ceneri del defunto, o dalle fosse per l’inumazione. Dal VII secolo a.C., periodo etrusco, si hanno due tipi di sepolture, quelle a tumulo e quelle “a dado”. Queste ultime consistono in una lunga schiera di tombe allineate regolarmente lungo vie sepolcrali. Nella parte visitabile della Necropoli della Banditaccia ci sono due di queste vie, via dei Monti Ceriti e via dei Monti della Tolfa, risalenti al VI secolo a.C. Un Piero Angela virtuale ci spiegava come si viveva a quell’epoca. Fantastico. Come ogni cosa bella anche questo viaggio vi volgeva al termine, ma… scusate…, monti, lago mancava qualcosa……….! Verso la via del ritorno per la riconsegna delle auto…..il mare.

Un bell’esempio di voglia di stare insieme per la passione che ci accomuna ma non solo. Un esemplare modo di passare un weekend con gli Amici di merende.
Altra meta da studiare, ma assolutamente esperienza da ripetere presto, spero.

P.S. Sono molti i punti di feedback (aridaje con sti punti feedback… – nota editoriale-) ricevuti per questo viaggio dalla agenzia TACCHITOUR, io non la cambierei con nessuna altra al mondo.
Le fotografie di questo articolo sono di Roberto Soffiantini.

Sito del museo storico dell’Aeronautica MIlitare Italiana.

Libellula

di Angelo Montagna

I primi amori non si scordano, ma non sempre (quasi mai) sono quelli definitivi. Vale per le donne, ma anche per gli aeromodelli, del resto l’abbinamento donne-motori, donne-moto, donne-aerei non è una novità. La cosa difficile è fare in modo che il primo amore non sia la solita minestra riscaldata, che alla fine ti stufa.

Quanti di noi aeromodellisti usano ancora il loro primo modello? Pochi, pochissimi, quasi nessuno, io per primo. Allora, perché non pensare a creare un aereo che serva da trainer, che consenta di imparare a volare in sicurezza, anche da campi non preparati, che sia semplice da costruire, robusto, e che una volta diventati abili non possa continuare ad essere il modello della domenica, quello che si tira fuori quando si ha voglia di giocare senza stress, non rinunciando a qualche emozione, e non solo affettiva?

Semplice? No, affatto, per raggiungere questo obbiettivo ci sono voluti 30 anni di evoluzione e più di 150 modelli realizzati (non tutti da me).

“Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve”. Così Blaise Pascal apriva una famosa missiva.

È più difficile semplificare che complicare, essere essenziali che prolissi, fare un modello sobrio e lineare che articolato e intricato.

Spinto da questa filosofia, con l’intenzione di realizzare qualcosa che fosse alla portata di tutti e che potesse durare nel tempo e sopravvivere sia agli urti che alla noia, nel corso di anni di lento sviluppo sono arrivato alla versione attuale (definitiva?) del Libellula.

In origine aveva la fusoliera a sezione ovale, il muso più lungo, il profilo differente, solo per dirne alcune. È diventato a sezione rettangolare, il muso è stato accorciato per utilizzare motori più potenti e pesanti (in origine si andava con 4 – 5 cc, ora anche con 6,5 – 8,5 cc), il profilo alare ottimizzato (Eppler 207 su tutta l’ala, nella versione definitiva).

La coda è a V ormai da molti anni, consente di risparmiare peso, migliora l’aerodinamica ma soprattutto assicura atterraggi anche su aree non preparate senza il rischio di danneggiare il piano di quota. Per gli amanti dei piani tradizionali esiste anche la versione standard.

È stato dotato di carrello, realizzato in versione ad ala allungata a due metri, con motore elettrico, ala in polistirolo rivestito o centinata. Insomma, le abbiamo provate tutte.

La costruzione è semplice, inutile dare spiegazioni in quanto il disegno parla da solo, (si può richiedere gratuitamente la tavola in PDF in scala 1:1 scrivendo a info@gmb.pv.it e nel caso chiedere chiarimenti sulla costruzione).

Il volo è facile e lento se si ha l’accortezza di non esasperare il motore, ma diventa veloce e scattante con propulsori di grossa cilindrata tenuti a manetta. In planata è molto efficiente, può essere tirato in finale all’inverosimile senza stalli d’ala, ma anche appoggiato con una certa decisione sulla pista per accorciare gli spazi, essendo un buon incassatore.

Il Libellula è stato ed è tuttora il modello scuola di tantissime persone. Chi l’ha usato per imparare l’ha ancora, e chi se l’è ritrovato un po’ troppo rappezzato, impregnato d’olio o ammaccato ne ha costruito un altro.

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Versione del Libellula con ala allungata a 2 m, fusoliera ristretta ed allungata, con motore da 2,5 cc da utilizzare come moto aliante.

Non solo volo

Nobile arte, quella del modellismo. Quando da bambino vieni assalito dalla passione per tutto ciò che vola, passeresti al campo intere giornate, e quelle che non trascorreresti in pista le dedicheresti alla costruzione. Poi arriva il periodo del motorino, delle prime uscite serali, ed infine quello delle ragazzine (“mi, quand s’eri un fiö, dumà a sentì l’udür di fiulet, am rampigavi in si mür”, dice un non tanto vecchio saggio del nostro gruppo), e per un po’ ci si allontana dal gruppo, per poi rendersi conto che una valvola di sfogo ci vuole. Una volta modellisticamente a regime, dopo aver trapanato buchi e buchi in terra con i modelli, dopo essersi tritati per bene le dita con le eliche, dopo essersi bruciati la faccia al sole e congelato i piedi in inverno, si comincia a vivere l’hobby non più in modo stakanovistico e integralista, ma si comincia ad andare in campo anche solo per fare quattro chiacchiere con gli amici tra un voletto e l’altro (andare in campo senza modello porta male, soprattutto al gruppo), bere un bicchiere, mangiare due fette di salame.

Poi quando hai la fortuna di vederti arrivare nel gruppo un cuoco provetto, che non solo cucina divinamente, ma che col cibo ci parla, lo accarezza, lo accudisce e gli vuole bene (quando ancora si muove da solo), va da se che la tua associazione, il GMB, da Gruppo Modellistico Belgioioso diventa Gruppo Modellistico Bongustai. Va bene anche Gruppo Modellistico alla Buona, inteso che il nostro obbiettivo è e sarà quello di star bene in compagnia, spessissimo con la radio in mano ma a volte davanti ad un piatto, senza velleità particolari o ambizioni da ricercatore della Nasa.

Ebbene, questo elemento di spicco non ha mai tenuto in mano una radio in vita sua (in effetti vola suo figlio), in compenso tiene molto bene in mano mestolo e coltello. Pietro Rovida, il soggetto in questione, ha il fisico da cuoco. Nonostante sia dimagrito e non poco (e si sa, un cuoco bello pasciuto già promette bene, ma stare in forma è importante), solo a guardarlo in faccia ti viene da pensare: “questo sa cucinare benissimo”. Per offrire buon cibo, infatti, ci vuole un buon carattere, e Pietro ce l’ha. Mi sono fatto l’idea che uno nervoso e cattivo, non potrà mai diventare un buon cuoco. Cucinare è sacrificio, vuol dire dedicare giornate a fare qualcosa che in un’ora sparisce. E più tempo ci si mette, migliore diventa il cibo, e prima sparisce. Ovvio che per farsi venire voglia di cucinare per più di quaranta persone bisogna essere predisposti a farlo, e godere della gioia di chi ospiti, stando per buona parte della serata ai fornelli. E andare avanti a godere quando senti la gente che dice: “quanto era buono il risotto del Pietro”, magari dopo sei mesi o più.

Vorrei chiudere questa breve digressione dai nostri soliti argomenti aeronautici riportando alcune dediche che il nostro sommo poeta Giuseppe Lanfranchi ha dedicato, a nome del GMB, all’arte culinaria dell’altrettanto sommo cuoco Pietro. (nella foto in alto Sommo cuoco Petrus Rovidas)

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Sommo poeta Peppus Lanfranchius

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Pollice verde

Quando circa 28 anni fa Luigi Rovati (il Gigi), modellista navigato, in tutti i sensi, e titolare del negozio “Modellismo Fioroni” fornì un apporto decisivo nel reperire un campo volo al Gruppo Modellistico Belgioioso, probabilmente non si rese conto del regalo che fece alla nostra associazione. Il campo che riuscì a trovare, sul quale tuttora ci ritroviamo per volare, incorpora una serie di caratteristiche che, messe insieme, costituiscono una vera combinazione vincente, di quelle che capitano assai di rado: fondo fortemente drenante (campo praticabile anche immediatamente dopo diluvi modello equatore, senza problemi di fango), orientamento ottimale (si vola sempre col sole alle spalle), assenza di ostacoli su gran parte degli spazi circostanti, estese zone in ombra grazie alla presenza di due querce quasi secolari, proprietario (nostro socio) appassionato e altamente collaborativo nella gestione del terreno. Per dirne una, negli ultimi 20 mesi le precipitazioni, dalle nostre parti, sono state piuttosto frequenti e intense, tanto da rendere molti terreni della nostra zona praticamente indistinguibili da paludi, specie laddove il fondo è argilloso, condizione assai comune nel circondario. Il nostro campo, invece, che si estende su una lingua di sabbia millenaria depositata dal Po, ci ha consentito di volare tra un acquazzone e un altro senza nemmeno bagnarci i piedi.

Tanto ben di Dio, va naturalmente gestito: tagli dell’erba, pulizie delle rive, rimozione di sterpi e rovi, mantenimento del sentiero di accesso. Ma oltre alla manutenzione ordinaria, capita di dover fare i conti con elementi di disturbo a comportamento aleatorio, come ad esempio i cinghiali, che, per un paio d’anni si sono divertiti ad arare la pista alla ricerca di cibo nel fondo erboso. I danni sono stati consistenti, tanto da indurci ad arare metà pista, fresare il terreno, compattarlo ed attendere la rinascita dell’erba, in modo da eliminare quel substrato così appetitoso per i prelibati suini. A tal proposito, proprio poco tempo fa abbiamo avvistato uno di questi animali: enorme, nero, impressionante, velocissimo, di una agilità sorprendente. Bestie del genere vanno bene o viste da lontano o allo spiedo.

Tornando alle attività di manutenzione della pista, le medesime sono, fino ad ora, state portate avanti da squadre di soci volontari che, spinti da entusiasmo, passione e tanta energia hanno lavorato egregiamente mettendo a disposizione tempo, cervello e attrezzatura. Una vera risorsa per il nostro gruppo.

Tra questi volontari i più accaniti ed esperti sono senza dubbio Giuseppe Lanfranchi, il Jacky (Giacomo Passalacqua), Francesco Rinetti, Angelo Montagna, Lorenzo Anelli (fornitore di ogni tipo di macchinario o attrezzo), Marco Bertagna, ai quali si affiancano anche, di volta in volta, altri soci.

Di recente, l’operazione più importante condotta dalla squadra agrovolante è stata la battitura della parte recentemente lavorata, mediante rullo compressore stradale vibrante, azione che ci ha consentito di tornare ad avere a disposizione interamente il nostro splendido campo.

Il GMB ringrazia tutti i soci che si sono dati da fare e che continuano a darsi da fare, a titolo di puro volontariato, per manutenere con costanza la pista e il terreno circostante, con risultati che solo la mano del padrone di casa riesce a raggiungere.

Raid Pavia – Venezia, un’impresa da record

di Gabriele Tacchi

Inauguriamo la sezione degli articoli del sito del GMB con un argomento, per noi svolazzatori, apparentemente poco pertinente con la nostra attuale attività prevalente. In realtà abbiamo voluto rendere omaggio sia ad un uomo che ha segnato la storia del modellismo pavese, italiano e mondiale, sia al gruppo modellistico dal quale ha avuto origine il nostro GMB. Senza il Gigi non avremmo, tra l’altro, il bellissimo campo volo su cui ci troviamo ogni settimana, senza il GMP parecchi di noi non si sarebbero mai avvicinati al modellismo.

Siamo orgogliosi di aver raccolto, insieme al gruppo Le Pecore Nere, un’eredità così importante e di continuare a fare modellismo proiettati al futuro ma nel ricordo di quegli anni epici ed entusiasmanti.

Per questo motivo cercheremo di affiancare alla cronaca e al racconto del nostro presente il ricordo del passato, per non perderne memoria.

Il Gruppo Modellistico Belgioioso

Correva l’anno 1999, ed il sottoscritto, Gabriele Tacchi, oltre a svolgere da vent’anni l’attività di aeromodellista, era membro del Gruppo Ufficiali di Gara della Federazione Italiana Motonautica, insieme a diversi altri pavesi. In effetti a Pavia c’era una elevata concentrazione di persone in qualche modo legate alla FIM, merito del prestigio che nel passato l’ormai inattivo Gruppo Modellistico Pavia (GMP), dal quale era nel frattempo nato il nostro GMB, aveva raggiunto in campo internazionale, sbaragliando tutti gli altri club ed arrivando a vincere diversi titoli mondiali di motonautica radiocomandata oltre a numerosi europei e nazionali. I “deus ex machina”, veri guru della motonautica RC e dei motori, negli anni ’70 e ’80 erano conosciuti realmente in tutto il mondo. Luigi Rovati, Giacomo Passalacqua (il nostro attuale vicepresidente Jacky), Vittorio Gobetti, Franco Badini (il maestro), il nostro socio Angelo Mattotea, Giorgio Merlotti, Attilio Parapetti, e tanti altri. Nomi che dicono poco ai ventenni di oggi, ma che dicono tutto a chi come me ha cominciato a bazzicare l’ambiente modellistico negli anni ’70, respirando un’aria satura di odore d’olio di ricino, di imprecazioni, di urla di gioia e di rumore di pipe a risonanza.

Chiusa la loro parentesi agonistica nella motonautica RC, molti di questi personaggi avevano trovato nuovi spunti in altre attività legate al modellismo, ad esempio in quello aereo, confluendo, quelli rimasti attivi, nel GMB, che da subito si era di fatto configurato come l’erede più prossimo del vecchio gruppo pavese. Alcuni erano tuttavia rimasti legati alla FIM, in particolare il Gigi (Rovati), classe 1931, campione del mondo plurititolato era diventato presidente della commissione modellismo, creata proprio su impulso del GMP, il gruppo modellistico che in Italia aveva maggior peso nel settore motonautica e che pure contemplava soci aeromodellisti, disciplina che molti condividevano con gli scafi. Il suo negozio di modellismo era il baricentro degli appassionati di Pavia e dintorni. Dal Gigi si andava anche se non c’era bisogno di comprare nulla. Il primo che arrivava cominciava a chiacchierare con lui intanto che sopraggiungevano gli altri. Verso le 19 il negozio era invaso da modellisti (e da fumo), e la storia era sempre quella: racconti di recenti avvenimenti, di aneddoti a dir poco esilaranti, discussioni tecniche, appuntamenti al campo di volo. Era la bottega del modellismo, intesa come una volta, lì e nella cantina sottostante si imparava la regola dell’arte. Non avevo ancora 10 anni e già andavo a sentire questi mostri sacri, ciascuno esperto in particolare di un settore: quello che sapeva lavorare i metalli, quello che ne sapeva di motori e se li costruiva in cantina, l’elettronico, l’esperto di vetroresina e stampi eccetera.

Ovvio che con il padrone di casa a capo della motonautica RC di tutt’Italia, anche quelli che come me amavano il volo fossero stati precettati per tirare il carretto della Federazione. Per cui mi ero ritrovato intorno ai 23 anni ad essere ufficiale di gara e ad andare in giro insieme ad altri amici a fare il giudice nelle competizioni a calendario FIM.

Il Gigi, nel frattempo, non era rimasto lì a fare solo il commerciante e il presidente di commissione (poi sarebbe diventato un pezzo grosso della motonautica maggiore), ma aveva pensato a portare a termine quella che nel 1978, vent’anni prima, era stata una vera e propria impresa, anche se omologata come performance e non come gara: il raid Pavia-Venezia con un motoscafo RC. In quell’occasione il Gigi, tessera numero 1 della FIM, aveva già segnato il record del mondo di percorrenza con tale tipo di natante, ma non era riuscito a giungere sino a Venezia, e non per colpa del modello. Ebbene, nel 1998 si era messo in testa di ripetere l’avventura e di migliorare il record, arrivando sino alla fine. Ovvio che solo un appassionato di scafi, uno che nel modellismo ci aveva messo l’anima e continuava a mettercela potesse pensare a tirare in piedi un’avventura del genere. Roba da matti, per impegno, capacità tecnica e costi. Roba da modellisti!

Per i non pavesi e i non appassionati, il raid Pavia-Venezia è la gara di motonautica più lunga al mondo. Partenza dalla AMP (Associazione Motonautica Pavia), tratto Pavia – confluenza Ticino-Po, giù in Po fino alla conca di Isola Serafini, sosta per il rifornimento a Boretto, ripartenza fino a Volta Grimana, imbocco del Canal Bianco, attraversamento di Adige e Brenta, ingresso in laguna e arrivo in piazza S. Marco, dopo 414 km, percorsi la prima volta in gara nel 1929.

Ebbene, il Gigi voleva ripetersi e migliorarsi, iscrivendo il suo motoscafo al raid, sotto le insegne del club nautico Gli Amici del Po, con sede alla Becca e gareggiando insieme ad una moltitudine di natanti di differenti categorie.

Fece squadra con Paolo Gualdi, forse il miglior modellista nautico che io avessi mai conosciuto, un milanese che aveva collezionato titoli a destra e a manca, dalle mani d’oro, tanto cordiale, simpatico e disponibile preso da solo quanto agguerrito, polemico e perennemente col coltello tra i denti sul campo di gara. I suoi non erano modelli, erano opere d’arte, verniciati alla perfezione, con dettagli maniacalmente messi a punto. La punzonatura del suo modello, che noi giudici dovevamo eseguire a inizio gara, era per lui come farsi marchiare a fuoco le chiappe, guai a toccargli la barca. Le sue non erano gare, erano lotte quasi fisiche con gli altri concorrenti e con noi ufficiali di gara. Che coppia! Il Gigi, pluri titolato, guru mondiale della motonautica RC, e il Gualdi, il miglior costruttore che mai avessi conosciuto.

Misero insieme uno scafo su progetto di Oldini, altro mostro sacro, totalmente in carbonio, realizzato da stampo dalla Mako Shark, una ditta svizzera specializzata in compositi, fornitrice di importanti industrie aeronautiche. Motore Picco 90. Altro non so dirvi, preferisco lasciare spazio alle fotografie.

Quell’anno qualcosa andò storto, ma il problema non fu lo scafo RC, bensì la barca di appoggio, che piantò tutti in asso prima di Piacenza. Tutto rimandato di un anno.

Ed eccoci di nuovo all’inizio di questo racconto. Correva l’anno 1999, una telefonata del Gigi mi fece balzare sulla sedia: “Lele, hai voglia di venire a omologare il record, come giudice della FIM?”. Che dire, non avevo nemmeno lontanamente sperato di poter essere coinvolto in un’avventura del genere; di passare una giornata col Gigi e il Gualdi, su un motoscafone da 500 cavalli, in uno degli scenari più belli della pianura padana, il Po, le sue rive, l’alba sul fiume, la conca di Isola Serafini, il passaggio nel canal Bianco, la laguna, Venezia; di respirare l’aria del raid da vicino, sentire il rombo dei motori degli scafi che ti passano di fianco, nel Po tutto per noi. “Come, il raid? Quando si parte?”, fu la mia risposta, dopo una sincope di incredulità.

Lasciai lavorare il Gigi e il Gualdi alla preparazione della gara e ci sentimmo qualche giorno prima della partenza. Appuntamento alle 5 del mattino al pontile degli Amici del Po alla Becca, alla confluenza tra Ticino e Po. Era il punto in cui i cronometristi avrebbero preso il tempo, non più come una volta, quando la gara partiva davvero dalla sponda destra del Ticino, tra il ponte dell’Impero e il ponte della ferrovia, in città. Carenza d’acqua e altre menate avevano ridotto il tratto sul Ticino ad una passerella, la gara sarebbe iniziata alla Becca.

Il giorno prima, sabato 29 maggio, avevo sentito il Gigi, e la barca appoggio, un bellissimo scafo messo a disposizione da Carlo Verri e ormeggiato alla Becca, con due entroforibordo Volvo Penta da 450 cavalli in totale, aveva qualche rogna ai motori. “Lo sistemeremo”, mi disse il Gigi, ma alla sera alle 20 eravamo ancora punto e a capo. Uscii con la mia fidanzata, che poi sarebbe diventata mia moglie, che non gradiva la mia assenza per tutta la domenica successiva, e si divertì a tenermi in giro fino a mezzanotte, sapendo che mi sarei dovuto svegliare alle 4,30 del mattino. Non fu un male, la terza telefonata del Gigi alle 23 mi confermò che avevano risolto, il problema era dovuto a dei sedimenti nei condotti di alimentazione degli iniettori. Si partiva.

La mattina successiva mio padre mi diede uno strappo fino alla Becca, imbarcammo l’attrezzatura, e fummo pronti a partire. Avviati e riscaldati i motori, il Verri pronto al timone, controllato tutto, scafo RC rifornito e verificato… eravamo a posto. Dall’ampio spazio a poppa del motoscafo appoggio il Gualdi, nella veste di meccanico, mise in moto il modello, erano le 6 e 13 minuti. Radio in mano al Gigi, visibilmente emozionato, due passaggi di prova, prora di entrambi gli scafi verso Pavia, virata di 180°, passaggio sotto il ponte della Becca a circa 70 km/h, dove alle 6.15 i cronometristi presero il tempo. Partiti!

Proseguimmo verso Piacenza, l’aria era ancora molto fredda e umida, e il Gigi, che aveva messo lo scafo in scia all’imbarcazione per meglio pilotarlo, scivolò picchiando le costole sul pulpito di poppa in tubolare d’acciaio. Fu una bella botta, il Gualdi prese temporaneamente i comandi (come previsto in questi casi dal regolamento) e io cercai di capire come stava il Gigi, che era visibilmente dolorante. Fummo lì lì per fermarci, ma poi fu proprio il Gigi a dire di proseguire, e riprese i comandi. Ebbe poi il tempo per riprendersi quando alle 6 e 24 minuti un pezzo di legno trascinato dal Po ancora in crescita causò la rottura dell’asse elica, con conseguente fermata. Il Gigi, già provato per la botta, reduce da una serata di incertezze, memore della disavventura dell’anno precedente ebbe un attimo di scoramento, ma si mise subito all’opera insieme al Gualdi, che diceva cose irripetibili, per riparare il danno. Dopo esattamente 20 minuti fummo pronti a ripartire. Alle 7 e 59 minuti transitammo davanti alla Motonautica Piacenza, dopo una serie di rogne e grattacapi che mai avevo visto concentrati su un’unica barca. Nel frattempo l’aria cominciava a riscaldarsi e l’umidità a ridursi, rendendo più gradevole quella che per me era anche una magnifica gita. Alle 8:34 giungemmo, dopo altri inconvenienti, a Isola Serafini, dove i cronometristi presero il tempo. Era la prima volta che transitavo in conca, un bel dislivello di una decina di metri, di fianco alla centrale elettrica con le sue quattro turbine Kaplan mosse dal Po. Entrammo nel bacino ancorati ad un pontile mobile galleggiante e, una volta chiusa la paratia venne aperto lo scarico e cominciammo a scendere, in compagnia di altri concorrenti del raid. Man mano che scendevamo guardavo verso l’alto, e quello che prima era una sorta di laghetto delimitato dal fiume da cordoli in cemento, diventava uno stretto pozzo verso il cui fondo ci stavamo dirigendo: inquietante! Una volta raggiunto il livello del Po a valle dello sbarramento si aprì la paratia e fummo accompagnati all’esterno dall’operatore di conca. Alle 9:04 lo scafo del Gigi prese il tempo sulla linea dei cronometristi e alle 9:17 fummo a Cremona, sempre con il Verri al timone, esperto e paziente comandante impegnato in manovre di avvicinamento e recupero dello scafo, inusuali per un diportista. Andò tutto liscio per un po’, poi qualche problema, sempre risolto dal Gualdi, che si faceva in quattro per completare l’impresa, un vero e proprio trascinatore morale, da subito decisivo per vincere la malasorte.

Ore 10:33, stop a Boretto per rifornire la barca appoggio. Ci trovammo con gli altri concorrenti a contribuire a rendere felice il benzinaio. Solo noi imbarcammo circa 400 litri di carburante, sosta di un’oretta.

Ripartimmo, sotto un sole che stava diventando cocente e che non si sentiva sulla pelle per l’aria che ci investiva, tra rive che avevano nel frattempo cambiato fisionomia, erano diverse dalle rive del Po del pavese e del piacentino, ed anche il fiume dava l’impressione di essere differente, forse si percepiva l’avvicinarsi della foce, o forse no, comunque qualcosa era cambiato.

Il Gigi e il Gualdi continuavano l’uno a pilotare, l’altro ad osservare con attenzione lo scafo nero come la pece che seguiva il motoscafo di appoggio, urlando dalla pipa a risonanza e tenendosi a lato della scia aperta dalla carena della nostra barca. Io pure osservavo e prendevo appunti, per poi redigere il verbale dell’impresa. Eravamo tutti e tre molto contenti, le difficoltà iniziali sembravano superate, soprattutto non si parlava più della jella che aveva portato l’anno prima ad interrompere la gara, si era accanita sui motori del Verri, aveva fatto rompere l’asse elica della barca del Gigi eccetera eccetera.

Alle 11:44, a S. Benedetto Po si ruppe nuovamente l’asse elica, che venne sostituito dal Gualdi in 25 minuti, stavolta con scioltezza e senza preoccupazioni. Successivamente cominciarono ad emergere problemi di carburazione via via più fastidiosi, fino a quando, per tagliare la testa al toro, il Gualdi decise di cambiare il motore. Alle 13:07 si riuscì a ripartire col motore nuovo, come quello vecchio dava una nota di colore grazie alla testa anodizzata blu. Seguirono problemi che definirei di secondo ordine, asse elica leggermente piegato, elica rotta, messe a punto del motore. Alle 15:46’:30”, dopo aver percorso gli ultimi chilometri con grande difficoltà, i cronometristi in località Volta Grimana presero il tempo. Era fatta, la gara era finita. Da lì in poi, come previsto dal regolamento del raid, era solo una passerella davanti a chi sulla riva seguiva curioso il nostro passaggio, ma comunque un tragitto da chiudere entro un certo tempo, pena la squalifica. Entrammo in conca all’imbocco del Canal Bianco, una via d’acqua sicuramente inadatta a viaggiare a 70 km/h con un motoscafo come il nostro o come gli altri del raid, che pure andavano più forte. Per questo la gara finiva con l’uscita dal Po, il tratto successivo era soggetto a limiti di velocità. Nulla a che vedere con l’imponente conca di Isola Serafini, il dislivello era minimo, forse pochi decimetri.

Percorso tutto il Canal Bianco attraversammo quasi senza accorgercene il Brenta e l’Adige, le conche erano aperte perché evidentemente i livelli erano gli stessi del Canal Bianco, ed entrammo in laguna.

Il percorso da seguire, quello dragato, era delimitato dalle briccole, guai ad uscirne, il rischio era di incagliarsi, cosa che avvenne a un equipaggio svizzero di uno scafo piuttosto grosso, che aveva avuto rogne al motore ed era stato spinto dal vento proprio su un banco di sabbia. Ci chiesero aiuto, ma non disponevamo dei mezzi per tirarli fuori dai guai, così ci pensò il servizio di assistenza piloti, appositamente predisposto, che, tra l’altro, includeva un elicottero che seguiva la gara dall’alto, per far fronte alle emergenze più gravi.

Giungemmo a Venezia, e il raid si concluse anche per la nostra barca RC. Il Gigi e il Gualdi erano al settimo cielo, e io pure, avevo partecipato, seppur in veste di controllore, insieme ad un grande amico e maestro ad un’impresa unica al mondo, difficile, impegnativa, sfiancante, ma proprio per questo esaltante.

gruppo1

Eravamo tutti cotti dal sole, il Gigi, il Gualdi, Verri, che pure aveva l’aspetto di un lupo di mare nonostante il suo lavoro d’ufficio, ed io. Cotti e stanchi morti, ma l’esaltazione che avevamo addosso non ci faceva sentire la fatica fisica. Tra l’altro la giornata non sarebbe finita lì, c’era ancora il gran gala di fine raid, organizzato nella sala biglietti del porto di Venezia, appena rinnovato per consentire alle grandi navi da crociera di effettuare il loro servizio.

Giusto il tempo per una doccia, via la divisa da ufficiale di gara, e in auto, accompagnati dagli svizzeri che erano rimasti in panne sul banco di sabbia, fino al luogo di ritrovo.

Non sto a raccontare altro, non ha importanza, aggiungo solo che il ritorno trionfale avvenne il giorno successivo in treno, il Gigi, sua moglie Lidia che ci aveva atteso a Venezia, ed io. Tutti contenti, tutti entusiasti, la signora Lidia un po’ meno in apprensione per il Gigi. Stanchi ma contenti, non avevamo nemmeno bisogno di dirci altro, meglio un riposino, sino a Pavia.

Il primato venne omologato ed è tuttora in vigore.

In chiusura una considerazione: arrivammo ultimi tra i concorrenti del raid, ma se non avessimo perso almeno parte delle due ore spese in riparazioni anche pesanti, che forse non sarebbero state necessarie se il Po non fosse stato così invaso da quei detriti che sempre, in fase di crescita, seguono la corrente, avremmo scalato di sicuro una o due posizioni. Ve l’immaginate? Un motoscafo RC che batte un paio di barche vere! Mica male.

Per quanto mi riguarda, a 15 anni di distanza da quest’impresa, resta il ricordo di un’avventura irripetibile insieme a due personaggi che hanno fatto la storia della motonautica RC, di paesaggi incantevoli, del sole e del vento sulla faccia, del rombo dei motori. Ma soprattutto resta la gratitudine nei confronti del Gigi per avermi voluto come ufficiale di gara e l’immagine di un grande modellista di 68 anni felice come un bambino. Grazie alla sua passione, grazie alla sua voglia di modellismo.

Il Gigi ci ha lasciati nel marzo del 2008, avrebbe avuto ancora molto da dire.

Gabriele Tacchi, gennaio 2014


Riportiamo il rapporto di gara allegato al verbale e redatto da Gabriele Tacchi durante la gara.

Raid Pavia-Venezia
Prestazione scafo numero 10, squadra Rovati Gualdi
Cronaca della prestazione

30 maggio 1999, ore 6,13 località confluenza Ticino Po ponte della Becca. Viene avviato il motore del modello.

Ore 6.13’30” barca in acqua. Vengono effettuate alcune manovre di prova.
Ore 6,15, passaggio sulla linea di start.
Ore 6.24 la barca si ferma. Rilevata rottura asse elica ed elica, probabile causa urto con detriti galleggianti. La sosta dura 20’30”.
Ore 6.44 si riparte.
Ore 6.53, lo scafo manifesta problemi. Sosta di 9′ per risoluzione inconvenienti.
Ore 7.02 si riparte.
Ore 7.13 sosta di 3’40” per rifornimento e carburazione.
Ore 7.17 si riparte.
Ore 7.19 si recupera, sosta di 7’50”. Messa a punto la barca.
Ore 7.27 si riparte.
Ore 7.59 transito davanti alla società motonautica di Piacenza.
Ore 8.05 si recupera. Non gira l’acqua nel raffreddamento, risolto il problema. Fatto il pieno. Persi 5′.
Ore 8.11 si riparte.
Ore 8,34 preso tempo dai cronometristi prima della conca Isola Serafini.
Operazioni di conca.
Ore 9.01 fine conca.
Ore 9.04 barca in acqua dopo la conca. Preso tempo dai cronometristi.
Ore 9.11 sosta per problemi. Sosta di 1′.
Ore 9.13 si riparte.
Ore 9.17 passaggio davanti a club nautico Cremona.
Ore 9.57 esaurito carburante. Sosta di 2’20”.
Ore 10.00 si riparte.
Ore 10.05, mancanza raffreddamento, puliti passaggi acqua in testa. Persi 3’5″.
Ore 10.09 si riparte.
Ore 10.33 passaggio davanti a cronometristi di Boretto. Sosta rifornimento barca appoggio.
Ore 11.30 barca in acqua, lancio per passaggio davanti a cronometristi.
Ore 11.44 stop motore, recupero barca. Rotto ancora asse di trasmissione. Località S. Benedetto. Fatto il pieno. Persi 25’30”.
Ore 12.10 ripartiamo.
Ore 12.14 stop per problemi carburazione. Persi 5′.
Ore 12.19 si riparte.
Ore 12.42 1′ di sosta per carburare.
Ore 12.44 barca capovolta. Non si riesce a carburare. Si decide cambio motore. Persi 22′ Apparentemente il motore smontato è sano.
Ore 13.07 si riparte
Ore 13.34 stop per problemi. Fatto il pieno. Rilevato asse elica piegato. Sistemato. Persi 5’45”.
Ore 13.40 si riparte.
Ore 13.58 stop per carburare. Persi 9′, tolta una guarnizione di testa.
Ore 14.08 si riparte.
Ore 14.46 stop per problemi. Cambiata elica piegata, rifornimento, persi 6’30”.
Ore 14.53 si riparte.
Ore 15.17 sosta. Controllata candela. Candela ok. Persi 2′ 10”.
Ore 15.20 si riparte.
Ore 15.46’30” arrivo a Voltagrimana. Preso tempo dai cronometristi. Ultimi km molto sofferti.

Tempo totale perso per riparazione e rifornimenti (escluse soste tecniche a Boretto e Isola Serafini) 2 ore 10′

Ringrazio vivamente gli amici Giacomo “Jacky” Passalacqua (vicepresidente del nostro GMB) e Paolo Gualdi che mi hanno fornito, con la passione di sempre, i documenti fotografici qui riportati.

Riportiamo il diploma di certificazione del record, la copertina di Modellistica e l’articolo scritto dal Gigi in occasione del primo raid Pavia Venezia.
Una bella descrizione del raid Pavia – Venezia della motonautica maggiore è disponibile sul sito del Club del Gommone.

Stella cometa volante

Molto spesso basta poco per divertirsi, e, al giorno d’oggi, grazie ai materiali di costruzione e di equipaggiamento disponibili, è possibile realizzare modelli a costo molto ridotto ed in pochissimo tempo. Quello che serve è un po’ di fantasia, o uno spunto, per partire a testa bassa e costruire qualcosa di semplice, robusto e molto divertente.

Il modello che presentiamo non è nulla di complicato, di particolarmente bello o ricercato. È semplicemente un giochino divertente in grado di allietare i pomeriggi al campo, attirando la curiosità dei presenti, specie in periodo natalizio, o durante le notturne, grazie all’installazione di led ad alta luminosità.

La prima realizzazione di questa stella cometa volante è stata eseguita da Angelo Montagna, che ne ha messo a punto le forme e le proporzioni, scegliendo anche i materiali per la costruzione. Successivamente, viste le straordinarie doti di volo e la rapidità costruttive, ne sono state realizzate altre due, una da Giuseppe Lanfranchi ed una da Gabriele Tacchi.

Relativamente alla costruzione non c’è praticamente nulla da aggiungere alle fotografie ed al disegno, disponibile gratuitamente su richiesta in formato PDF inviando una mail a info@gmb.pv.it: è tutto assolutamente chiaro ed intuitivo. Il materiale usato è un tipo di depron rivestito su ambo i lati da un sottile strato di cartoncino, che gli conferisce una rigidità eccezionale, consentendo di costruire le superfici senza alcun longherone o rinforzo. Lo spessore utilizzato è 10 mm, ed un foglio della dimensione 800x600mm costa all’incirca 8€.

Una volta ritagliata la stella con un tagliabalsa ed una riga, occorre separare gli elevoni dal resto dell’ala, ed incernierarli utilizzando come punto di innesto delle cerniere due listelli di balsa incollati con colla vinilica o resina epossidica. Il banchetto motore va realizzato come da disegno con compensato multistrato da 3mm.

Ritagliato l’elemento che costituirà la coda ed il pattino di atterraggio (utile anche per il lancio a mano) e realizzato lo scasso per il suo inserimento nell’ala, è sufficiente infilare tale pezzo nel suo alloggiamento e fissarlo con colla vinilica o resina. È possibile dotare il modello di deriva mobile, operando come per gli elevoni. La verniciatura può essere eseguita a piacimento con bomboletta spray.

Il tempo di realizzazione è di circa tre/quattro ore.

I micro servi possono essere fissati con due gocce di colla a caldo all’interno di due scassi da ricavare nell’ala. Per quanto riguarda la corsa dei comandi è consigliato usare una escursione molto ampia, inserendo esponenziale a piacere.

Per quanto riguarda la motorizzazione, lasciamo la scelta al lettore, tenendo conto che, dotando il modello di led (Gabriele ne ha messi 220!), il peso aumenta. In assenza di led, il modello vola bene con un motore da 1000 KV ed elica 10×4,7 da slow fly, alimentato a tre celle da 1000 mAh, con tanti led e di conseguenza maggior peso, è meglio optare per un motore da 1100 KV in grado di tirare una 11×4,7.

Sul modello di Gabriele è stato installato un interruttore allo stato solido per accendere o spegnere i led via radio.

Il volo (visibile cliccando qui)è molto stabile, anche ad elevati angoli e velocità ridottissime, e, con una buona escursione dei comandi, i tonnaux e i looping sono rapidissimi. La motorizzazione esuberante consente salite continue in verticale, e l’atterraggio avviene praticamnte a modello fermo, mantenendo il motore piuttosto allegro e l’assetto molto cabrato. Consigliamo vivamente la costruzione di questo semplicissimo e divertentissimo modello, che non mancherà di farsi notare per la sua forma curiosa e le sue incredibili doti di volo.