Raid Pavia – Venezia, un’impresa da record

di Gabriele Tacchi

Inauguriamo la sezione degli articoli del sito del GMB con un argomento, per noi svolazzatori, apparentemente poco pertinente con la nostra attuale attività prevalente. In realtà abbiamo voluto rendere omaggio sia ad un uomo che ha segnato la storia del modellismo pavese, italiano e mondiale, sia al gruppo modellistico dal quale ha avuto origine il nostro GMB. Senza il Gigi non avremmo, tra l’altro, il bellissimo campo volo su cui ci troviamo ogni settimana, senza il GMP parecchi di noi non si sarebbero mai avvicinati al modellismo.

Siamo orgogliosi di aver raccolto, insieme al gruppo Le Pecore Nere, un’eredità così importante e di continuare a fare modellismo proiettati al futuro ma nel ricordo di quegli anni epici ed entusiasmanti.

Per questo motivo cercheremo di affiancare alla cronaca e al racconto del nostro presente il ricordo del passato, per non perderne memoria.

Il Gruppo Modellistico Belgioioso

Correva l’anno 1999, ed il sottoscritto, Gabriele Tacchi, oltre a svolgere da vent’anni l’attività di aeromodellista, era membro del Gruppo Ufficiali di Gara della Federazione Italiana Motonautica, insieme a diversi altri pavesi. In effetti a Pavia c’era una elevata concentrazione di persone in qualche modo legate alla FIM, merito del prestigio che nel passato l’ormai inattivo Gruppo Modellistico Pavia (GMP), dal quale era nel frattempo nato il nostro GMB, aveva raggiunto in campo internazionale, sbaragliando tutti gli altri club ed arrivando a vincere diversi titoli mondiali di motonautica radiocomandata oltre a numerosi europei e nazionali. I “deus ex machina”, veri guru della motonautica RC e dei motori, negli anni ’70 e ’80 erano conosciuti realmente in tutto il mondo. Luigi Rovati, Giacomo Passalacqua (il nostro attuale vicepresidente Jacky), Vittorio Gobetti, Franco Badini (il maestro), il nostro socio Angelo Mattotea, Giorgio Merlotti, Attilio Parapetti, e tanti altri. Nomi che dicono poco ai ventenni di oggi, ma che dicono tutto a chi come me ha cominciato a bazzicare l’ambiente modellistico negli anni ’70, respirando un’aria satura di odore d’olio di ricino, di imprecazioni, di urla di gioia e di rumore di pipe a risonanza.

Chiusa la loro parentesi agonistica nella motonautica RC, molti di questi personaggi avevano trovato nuovi spunti in altre attività legate al modellismo, ad esempio in quello aereo, confluendo, quelli rimasti attivi, nel GMB, che da subito si era di fatto configurato come l’erede più prossimo del vecchio gruppo pavese. Alcuni erano tuttavia rimasti legati alla FIM, in particolare il Gigi (Rovati), classe 1931, campione del mondo plurititolato era diventato presidente della commissione modellismo, creata proprio su impulso del GMP, il gruppo modellistico che in Italia aveva maggior peso nel settore motonautica e che pure contemplava soci aeromodellisti, disciplina che molti condividevano con gli scafi. Il suo negozio di modellismo era il baricentro degli appassionati di Pavia e dintorni. Dal Gigi si andava anche se non c’era bisogno di comprare nulla. Il primo che arrivava cominciava a chiacchierare con lui intanto che sopraggiungevano gli altri. Verso le 19 il negozio era invaso da modellisti (e da fumo), e la storia era sempre quella: racconti di recenti avvenimenti, di aneddoti a dir poco esilaranti, discussioni tecniche, appuntamenti al campo di volo. Era la bottega del modellismo, intesa come una volta, lì e nella cantina sottostante si imparava la regola dell’arte. Non avevo ancora 10 anni e già andavo a sentire questi mostri sacri, ciascuno esperto in particolare di un settore: quello che sapeva lavorare i metalli, quello che ne sapeva di motori e se li costruiva in cantina, l’elettronico, l’esperto di vetroresina e stampi eccetera.

Ovvio che con il padrone di casa a capo della motonautica RC di tutt’Italia, anche quelli che come me amavano il volo fossero stati precettati per tirare il carretto della Federazione. Per cui mi ero ritrovato intorno ai 23 anni ad essere ufficiale di gara e ad andare in giro insieme ad altri amici a fare il giudice nelle competizioni a calendario FIM.

Il Gigi, nel frattempo, non era rimasto lì a fare solo il commerciante e il presidente di commissione (poi sarebbe diventato un pezzo grosso della motonautica maggiore), ma aveva pensato a portare a termine quella che nel 1978, vent’anni prima, era stata una vera e propria impresa, anche se omologata come performance e non come gara: il raid Pavia-Venezia con un motoscafo RC. In quell’occasione il Gigi, tessera numero 1 della FIM, aveva già segnato il record del mondo di percorrenza con tale tipo di natante, ma non era riuscito a giungere sino a Venezia, e non per colpa del modello. Ebbene, nel 1998 si era messo in testa di ripetere l’avventura e di migliorare il record, arrivando sino alla fine. Ovvio che solo un appassionato di scafi, uno che nel modellismo ci aveva messo l’anima e continuava a mettercela potesse pensare a tirare in piedi un’avventura del genere. Roba da matti, per impegno, capacità tecnica e costi. Roba da modellisti!

Per i non pavesi e i non appassionati, il raid Pavia-Venezia è la gara di motonautica più lunga al mondo. Partenza dalla AMP (Associazione Motonautica Pavia), tratto Pavia – confluenza Ticino-Po, giù in Po fino alla conca di Isola Serafini, sosta per il rifornimento a Boretto, ripartenza fino a Volta Grimana, imbocco del Canal Bianco, attraversamento di Adige e Brenta, ingresso in laguna e arrivo in piazza S. Marco, dopo 414 km, percorsi la prima volta in gara nel 1929.

Ebbene, il Gigi voleva ripetersi e migliorarsi, iscrivendo il suo motoscafo al raid, sotto le insegne del club nautico Gli Amici del Po, con sede alla Becca e gareggiando insieme ad una moltitudine di natanti di differenti categorie.

Fece squadra con Paolo Gualdi, forse il miglior modellista nautico che io avessi mai conosciuto, un milanese che aveva collezionato titoli a destra e a manca, dalle mani d’oro, tanto cordiale, simpatico e disponibile preso da solo quanto agguerrito, polemico e perennemente col coltello tra i denti sul campo di gara. I suoi non erano modelli, erano opere d’arte, verniciati alla perfezione, con dettagli maniacalmente messi a punto. La punzonatura del suo modello, che noi giudici dovevamo eseguire a inizio gara, era per lui come farsi marchiare a fuoco le chiappe, guai a toccargli la barca. Le sue non erano gare, erano lotte quasi fisiche con gli altri concorrenti e con noi ufficiali di gara. Che coppia! Il Gigi, pluri titolato, guru mondiale della motonautica RC, e il Gualdi, il miglior costruttore che mai avessi conosciuto.

Misero insieme uno scafo su progetto di Oldini, altro mostro sacro, totalmente in carbonio, realizzato da stampo dalla Mako Shark, una ditta svizzera specializzata in compositi, fornitrice di importanti industrie aeronautiche. Motore Picco 90. Altro non so dirvi, preferisco lasciare spazio alle fotografie.

Quell’anno qualcosa andò storto, ma il problema non fu lo scafo RC, bensì la barca di appoggio, che piantò tutti in asso prima di Piacenza. Tutto rimandato di un anno.

Ed eccoci di nuovo all’inizio di questo racconto. Correva l’anno 1999, una telefonata del Gigi mi fece balzare sulla sedia: “Lele, hai voglia di venire a omologare il record, come giudice della FIM?”. Che dire, non avevo nemmeno lontanamente sperato di poter essere coinvolto in un’avventura del genere; di passare una giornata col Gigi e il Gualdi, su un motoscafone da 500 cavalli, in uno degli scenari più belli della pianura padana, il Po, le sue rive, l’alba sul fiume, la conca di Isola Serafini, il passaggio nel canal Bianco, la laguna, Venezia; di respirare l’aria del raid da vicino, sentire il rombo dei motori degli scafi che ti passano di fianco, nel Po tutto per noi. “Come, il raid? Quando si parte?”, fu la mia risposta, dopo una sincope di incredulità.

Lasciai lavorare il Gigi e il Gualdi alla preparazione della gara e ci sentimmo qualche giorno prima della partenza. Appuntamento alle 5 del mattino al pontile degli Amici del Po alla Becca, alla confluenza tra Ticino e Po. Era il punto in cui i cronometristi avrebbero preso il tempo, non più come una volta, quando la gara partiva davvero dalla sponda destra del Ticino, tra il ponte dell’Impero e il ponte della ferrovia, in città. Carenza d’acqua e altre menate avevano ridotto il tratto sul Ticino ad una passerella, la gara sarebbe iniziata alla Becca.

Il giorno prima, sabato 29 maggio, avevo sentito il Gigi, e la barca appoggio, un bellissimo scafo messo a disposizione da Carlo Verri e ormeggiato alla Becca, con due entroforibordo Volvo Penta da 450 cavalli in totale, aveva qualche rogna ai motori. “Lo sistemeremo”, mi disse il Gigi, ma alla sera alle 20 eravamo ancora punto e a capo. Uscii con la mia fidanzata, che poi sarebbe diventata mia moglie, che non gradiva la mia assenza per tutta la domenica successiva, e si divertì a tenermi in giro fino a mezzanotte, sapendo che mi sarei dovuto svegliare alle 4,30 del mattino. Non fu un male, la terza telefonata del Gigi alle 23 mi confermò che avevano risolto, il problema era dovuto a dei sedimenti nei condotti di alimentazione degli iniettori. Si partiva.

La mattina successiva mio padre mi diede uno strappo fino alla Becca, imbarcammo l’attrezzatura, e fummo pronti a partire. Avviati e riscaldati i motori, il Verri pronto al timone, controllato tutto, scafo RC rifornito e verificato… eravamo a posto. Dall’ampio spazio a poppa del motoscafo appoggio il Gualdi, nella veste di meccanico, mise in moto il modello, erano le 6 e 13 minuti. Radio in mano al Gigi, visibilmente emozionato, due passaggi di prova, prora di entrambi gli scafi verso Pavia, virata di 180°, passaggio sotto il ponte della Becca a circa 70 km/h, dove alle 6.15 i cronometristi presero il tempo. Partiti!

Proseguimmo verso Piacenza, l’aria era ancora molto fredda e umida, e il Gigi, che aveva messo lo scafo in scia all’imbarcazione per meglio pilotarlo, scivolò picchiando le costole sul pulpito di poppa in tubolare d’acciaio. Fu una bella botta, il Gualdi prese temporaneamente i comandi (come previsto in questi casi dal regolamento) e io cercai di capire come stava il Gigi, che era visibilmente dolorante. Fummo lì lì per fermarci, ma poi fu proprio il Gigi a dire di proseguire, e riprese i comandi. Ebbe poi il tempo per riprendersi quando alle 6 e 24 minuti un pezzo di legno trascinato dal Po ancora in crescita causò la rottura dell’asse elica, con conseguente fermata. Il Gigi, già provato per la botta, reduce da una serata di incertezze, memore della disavventura dell’anno precedente ebbe un attimo di scoramento, ma si mise subito all’opera insieme al Gualdi, che diceva cose irripetibili, per riparare il danno. Dopo esattamente 20 minuti fummo pronti a ripartire. Alle 7 e 59 minuti transitammo davanti alla Motonautica Piacenza, dopo una serie di rogne e grattacapi che mai avevo visto concentrati su un’unica barca. Nel frattempo l’aria cominciava a riscaldarsi e l’umidità a ridursi, rendendo più gradevole quella che per me era anche una magnifica gita. Alle 8:34 giungemmo, dopo altri inconvenienti, a Isola Serafini, dove i cronometristi presero il tempo. Era la prima volta che transitavo in conca, un bel dislivello di una decina di metri, di fianco alla centrale elettrica con le sue quattro turbine Kaplan mosse dal Po. Entrammo nel bacino ancorati ad un pontile mobile galleggiante e, una volta chiusa la paratia venne aperto lo scarico e cominciammo a scendere, in compagnia di altri concorrenti del raid. Man mano che scendevamo guardavo verso l’alto, e quello che prima era una sorta di laghetto delimitato dal fiume da cordoli in cemento, diventava uno stretto pozzo verso il cui fondo ci stavamo dirigendo: inquietante! Una volta raggiunto il livello del Po a valle dello sbarramento si aprì la paratia e fummo accompagnati all’esterno dall’operatore di conca. Alle 9:04 lo scafo del Gigi prese il tempo sulla linea dei cronometristi e alle 9:17 fummo a Cremona, sempre con il Verri al timone, esperto e paziente comandante impegnato in manovre di avvicinamento e recupero dello scafo, inusuali per un diportista. Andò tutto liscio per un po’, poi qualche problema, sempre risolto dal Gualdi, che si faceva in quattro per completare l’impresa, un vero e proprio trascinatore morale, da subito decisivo per vincere la malasorte.

Ore 10:33, stop a Boretto per rifornire la barca appoggio. Ci trovammo con gli altri concorrenti a contribuire a rendere felice il benzinaio. Solo noi imbarcammo circa 400 litri di carburante, sosta di un’oretta.

Ripartimmo, sotto un sole che stava diventando cocente e che non si sentiva sulla pelle per l’aria che ci investiva, tra rive che avevano nel frattempo cambiato fisionomia, erano diverse dalle rive del Po del pavese e del piacentino, ed anche il fiume dava l’impressione di essere differente, forse si percepiva l’avvicinarsi della foce, o forse no, comunque qualcosa era cambiato.

Il Gigi e il Gualdi continuavano l’uno a pilotare, l’altro ad osservare con attenzione lo scafo nero come la pece che seguiva il motoscafo di appoggio, urlando dalla pipa a risonanza e tenendosi a lato della scia aperta dalla carena della nostra barca. Io pure osservavo e prendevo appunti, per poi redigere il verbale dell’impresa. Eravamo tutti e tre molto contenti, le difficoltà iniziali sembravano superate, soprattutto non si parlava più della jella che aveva portato l’anno prima ad interrompere la gara, si era accanita sui motori del Verri, aveva fatto rompere l’asse elica della barca del Gigi eccetera eccetera.

Alle 11:44, a S. Benedetto Po si ruppe nuovamente l’asse elica, che venne sostituito dal Gualdi in 25 minuti, stavolta con scioltezza e senza preoccupazioni. Successivamente cominciarono ad emergere problemi di carburazione via via più fastidiosi, fino a quando, per tagliare la testa al toro, il Gualdi decise di cambiare il motore. Alle 13:07 si riuscì a ripartire col motore nuovo, come quello vecchio dava una nota di colore grazie alla testa anodizzata blu. Seguirono problemi che definirei di secondo ordine, asse elica leggermente piegato, elica rotta, messe a punto del motore. Alle 15:46’:30”, dopo aver percorso gli ultimi chilometri con grande difficoltà, i cronometristi in località Volta Grimana presero il tempo. Era fatta, la gara era finita. Da lì in poi, come previsto dal regolamento del raid, era solo una passerella davanti a chi sulla riva seguiva curioso il nostro passaggio, ma comunque un tragitto da chiudere entro un certo tempo, pena la squalifica. Entrammo in conca all’imbocco del Canal Bianco, una via d’acqua sicuramente inadatta a viaggiare a 70 km/h con un motoscafo come il nostro o come gli altri del raid, che pure andavano più forte. Per questo la gara finiva con l’uscita dal Po, il tratto successivo era soggetto a limiti di velocità. Nulla a che vedere con l’imponente conca di Isola Serafini, il dislivello era minimo, forse pochi decimetri.

Percorso tutto il Canal Bianco attraversammo quasi senza accorgercene il Brenta e l’Adige, le conche erano aperte perché evidentemente i livelli erano gli stessi del Canal Bianco, ed entrammo in laguna.

Il percorso da seguire, quello dragato, era delimitato dalle briccole, guai ad uscirne, il rischio era di incagliarsi, cosa che avvenne a un equipaggio svizzero di uno scafo piuttosto grosso, che aveva avuto rogne al motore ed era stato spinto dal vento proprio su un banco di sabbia. Ci chiesero aiuto, ma non disponevamo dei mezzi per tirarli fuori dai guai, così ci pensò il servizio di assistenza piloti, appositamente predisposto, che, tra l’altro, includeva un elicottero che seguiva la gara dall’alto, per far fronte alle emergenze più gravi.

Giungemmo a Venezia, e il raid si concluse anche per la nostra barca RC. Il Gigi e il Gualdi erano al settimo cielo, e io pure, avevo partecipato, seppur in veste di controllore, insieme ad un grande amico e maestro ad un’impresa unica al mondo, difficile, impegnativa, sfiancante, ma proprio per questo esaltante.

gruppo1

Eravamo tutti cotti dal sole, il Gigi, il Gualdi, Verri, che pure aveva l’aspetto di un lupo di mare nonostante il suo lavoro d’ufficio, ed io. Cotti e stanchi morti, ma l’esaltazione che avevamo addosso non ci faceva sentire la fatica fisica. Tra l’altro la giornata non sarebbe finita lì, c’era ancora il gran gala di fine raid, organizzato nella sala biglietti del porto di Venezia, appena rinnovato per consentire alle grandi navi da crociera di effettuare il loro servizio.

Giusto il tempo per una doccia, via la divisa da ufficiale di gara, e in auto, accompagnati dagli svizzeri che erano rimasti in panne sul banco di sabbia, fino al luogo di ritrovo.

Non sto a raccontare altro, non ha importanza, aggiungo solo che il ritorno trionfale avvenne il giorno successivo in treno, il Gigi, sua moglie Lidia che ci aveva atteso a Venezia, ed io. Tutti contenti, tutti entusiasti, la signora Lidia un po’ meno in apprensione per il Gigi. Stanchi ma contenti, non avevamo nemmeno bisogno di dirci altro, meglio un riposino, sino a Pavia.

Il primato venne omologato ed è tuttora in vigore.

In chiusura una considerazione: arrivammo ultimi tra i concorrenti del raid, ma se non avessimo perso almeno parte delle due ore spese in riparazioni anche pesanti, che forse non sarebbero state necessarie se il Po non fosse stato così invaso da quei detriti che sempre, in fase di crescita, seguono la corrente, avremmo scalato di sicuro una o due posizioni. Ve l’immaginate? Un motoscafo RC che batte un paio di barche vere! Mica male.

Per quanto mi riguarda, a 15 anni di distanza da quest’impresa, resta il ricordo di un’avventura irripetibile insieme a due personaggi che hanno fatto la storia della motonautica RC, di paesaggi incantevoli, del sole e del vento sulla faccia, del rombo dei motori. Ma soprattutto resta la gratitudine nei confronti del Gigi per avermi voluto come ufficiale di gara e l’immagine di un grande modellista di 68 anni felice come un bambino. Grazie alla sua passione, grazie alla sua voglia di modellismo.

Il Gigi ci ha lasciati nel marzo del 2008, avrebbe avuto ancora molto da dire.

Gabriele Tacchi, gennaio 2014


Riportiamo il rapporto di gara allegato al verbale e redatto da Gabriele Tacchi durante la gara.

Raid Pavia-Venezia
Prestazione scafo numero 10, squadra Rovati Gualdi
Cronaca della prestazione

30 maggio 1999, ore 6,13 località confluenza Ticino Po ponte della Becca. Viene avviato il motore del modello.

Ore 6.13’30” barca in acqua. Vengono effettuate alcune manovre di prova.
Ore 6,15, passaggio sulla linea di start.
Ore 6.24 la barca si ferma. Rilevata rottura asse elica ed elica, probabile causa urto con detriti galleggianti. La sosta dura 20’30”.
Ore 6.44 si riparte.
Ore 6.53, lo scafo manifesta problemi. Sosta di 9′ per risoluzione inconvenienti.
Ore 7.02 si riparte.
Ore 7.13 sosta di 3’40” per rifornimento e carburazione.
Ore 7.17 si riparte.
Ore 7.19 si recupera, sosta di 7’50”. Messa a punto la barca.
Ore 7.27 si riparte.
Ore 7.59 transito davanti alla società motonautica di Piacenza.
Ore 8.05 si recupera. Non gira l’acqua nel raffreddamento, risolto il problema. Fatto il pieno. Persi 5′.
Ore 8.11 si riparte.
Ore 8,34 preso tempo dai cronometristi prima della conca Isola Serafini.
Operazioni di conca.
Ore 9.01 fine conca.
Ore 9.04 barca in acqua dopo la conca. Preso tempo dai cronometristi.
Ore 9.11 sosta per problemi. Sosta di 1′.
Ore 9.13 si riparte.
Ore 9.17 passaggio davanti a club nautico Cremona.
Ore 9.57 esaurito carburante. Sosta di 2’20”.
Ore 10.00 si riparte.
Ore 10.05, mancanza raffreddamento, puliti passaggi acqua in testa. Persi 3’5″.
Ore 10.09 si riparte.
Ore 10.33 passaggio davanti a cronometristi di Boretto. Sosta rifornimento barca appoggio.
Ore 11.30 barca in acqua, lancio per passaggio davanti a cronometristi.
Ore 11.44 stop motore, recupero barca. Rotto ancora asse di trasmissione. Località S. Benedetto. Fatto il pieno. Persi 25’30”.
Ore 12.10 ripartiamo.
Ore 12.14 stop per problemi carburazione. Persi 5′.
Ore 12.19 si riparte.
Ore 12.42 1′ di sosta per carburare.
Ore 12.44 barca capovolta. Non si riesce a carburare. Si decide cambio motore. Persi 22′ Apparentemente il motore smontato è sano.
Ore 13.07 si riparte
Ore 13.34 stop per problemi. Fatto il pieno. Rilevato asse elica piegato. Sistemato. Persi 5’45”.
Ore 13.40 si riparte.
Ore 13.58 stop per carburare. Persi 9′, tolta una guarnizione di testa.
Ore 14.08 si riparte.
Ore 14.46 stop per problemi. Cambiata elica piegata, rifornimento, persi 6’30”.
Ore 14.53 si riparte.
Ore 15.17 sosta. Controllata candela. Candela ok. Persi 2′ 10”.
Ore 15.20 si riparte.
Ore 15.46’30” arrivo a Voltagrimana. Preso tempo dai cronometristi. Ultimi km molto sofferti.

Tempo totale perso per riparazione e rifornimenti (escluse soste tecniche a Boretto e Isola Serafini) 2 ore 10′

Ringrazio vivamente gli amici Giacomo “Jacky” Passalacqua (vicepresidente del nostro GMB) e Paolo Gualdi che mi hanno fornito, con la passione di sempre, i documenti fotografici qui riportati.

Riportiamo il diploma di certificazione del record, la copertina di Modellistica e l’articolo scritto dal Gigi in occasione del primo raid Pavia Venezia.
Una bella descrizione del raid Pavia – Venezia della motonautica maggiore è disponibile sul sito del Club del Gommone.